mercoledì 17 aprile 2013

Abbiamo perso l'arte di dire "no"

Abbiamo perso l'arte di dire "no". No alla brutalità della politica, no alla follia delle ingiustizie economiche che ci circondano, no all' invasione della burocrazia nella nostra vita quotidiana. No all' idea che si possano accettare come normali le guerre, la fame, la schiavitù infantile. C' è un bisogno enorme di tornare a pronunciare quella parola. E invece ne siamo incapaci. Mi creda, sono sgomento di fronte all' acquiescenza di tante persone per bene, trasformate in campioni di fatalismo. Che dichiarano apertamente il loro scetticismo in ordine all' inutilità della protesta, quasi che protestare fosse diventato imbarazzante. Ma le personalità più grandi del nostro tempo, i Nelson Mandela, i Vaclav Havel, non hanno mai provato questo tipo di imbarazzo. Purtroppo la famiglia e la scuola, per non parlare dell' intero sistema mediatico, inoculano sistematicamente tale virus. Ci predispongono al più totale conformismo. Per questo è fondamentale riabituarsi alla resistenza contro i falsi idoli del nostro tempo. A partire da quello principale: il denaro. Anzi, il fascismo del denaro». Una definizione forte. A cosa allude? «Guardi, non trovo un termine più efficace per descrivere lo straripante dilagare di un potere altrettanto censorio e dispotico. Oggi tutto odora di denaro. E lo stesso potere politico è nelle sue mani. Voi in Italia ne sapete qualcosa. Il caso italiano è quello che in Europa desta maggiori preoccupazioni. Ma anche altre nazioni non sono indenni dal rischio di questa deriva. Le faccio un esempio concreto. Di recente abbiamo visto chiudere banche e fabbriche; abbiamo visto centinaia di migliaia di persone perdere il posto di lavoro e contemporaneamente abbiamo assistito al vergognoso spettacolo di manager che se andavano via con milioni di bonus. Non è un' assoluta oscenità? Mi sarei augurato che di fronte a tutto questo il "no" sarebbe salito forte dalle piazze e invece la solita, tristissima passività ha avuto il sopravvento». A cosa attribuisce questo deficit di reattività? Al dilagare di "passioni tristi", per dirla con Spinoza? «Evidentemente l' individuo ha la sensazione di trovarsi di fronte a uno schieramento di forze anonime talmente potente, da bloccare qualunque reazione. Ma c' è anche un altro fattore, che non va dimenticato: la catastrofe delle ideologie novecentesche, a cominciare dal marxismo nelle sue varie applicazioni politiche, ha fatto terra bruciata dietro di sé. E il disastro non è soltanto politico, ma anche culturale. Tanto per capirci: l' Italia senza Gramsci è un paese amputato, irriconoscibile. Vede, quando io ero giovane si potevano ancora compiere quelli che io chiamo errori "creativi". Perché nella vita di un giovane è fondamentale poter sbagliare, per costruirsi una vita intensa e appassionata. Oggi non è più possibile. Ed è terribile pensare a un ragazzo di diciotto anni che si vede negato qualunque entusiasmo ideale, utopico». Difficile poi meravigliarsi se le convinzioni stentano a farsi largo. «C' è un piccolo episodio che per me ha rappresentato un punto di non ritorno. Eravamo ai tempi della guerriglia in centro America. Con un gruppo di studenti il discorso si allargò alla guerra di Spagna. Chiesi loro se avrebbero mai compiuto scelte analoghe a quelle dei loro genitori, che avevano combattuto e magari erano morti per la libertà di quel paese. Il giorno dopo ricevetti una lettera così concepita: "Gentilissimo professor Steiner, nella nostra attuale situazione qualunque coinvolgimento in battaglie internazionali per la libertà ci vedrebbe inevitabilmente complici. Vuoi degli orrori comunisti, vuoi di quelli della Cia. Spiacenti, noi non ci faremo truffare ancora una volta". Se l' unico cruccio è di non essere truffato, dove trovi la forza per compiere un salto immaginativo? Per pensare a qualcosa più grande di te?».
 
 

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